venerdì 12 novembre 2010

Quel che è stato (di Anna Guerrieri)

La mia amica e collega Anna Guerrieri scrive di noi, di ciò che è stato, di come siamo e della nostra fragilità. Quel che ti entra dentro e ti rimane addosso, per sempre.

Mi chiedo se usciremo mai, mai da questa nebbia di parole e opinioni. Se riusciremo a sollevarci dalle migliaia di pagine scritte, a uscire fuori per davvero dalle immagini, dalle interviste, dalle discussioni e dai dibattiti.
Mi chiedo se torneremo veri, reali, in carne ed ossa.
O forse questo è il vero prezzo da pagare in una catastrofe che cambia la vita di tanti, troppi. Questo. Questa politica fatta di teorie, che passa sopra le teste di troppi, che dimentica la realtà e che si fa fine a se stessa, alle proprie lotte, alle proprie guerre.

Leggo, ascolto, sento. Che siamo stati un set cinematografico. Che siamo stati "pecoroni". Che forse siamo stati anche collusi e incapaci. Che non abbiamo saputo fare. Nè la ricostruzione, nè la protesta.
Leggo, ascolto, sento. Che siamo diventati una classifica. Un fatto mediatico. Un fatto politico. Un'arena, un agone, un modo per discutere.
Leggo, ascolto, sento.
E mi sembra che la verità vada piano piano perduta, assieme all'umanità delle storie vere e solide.
Assieme al lavoro che è stato fatto e che quasi quasi non viene neanche più visto.
Il lavoro doloroso di chi ha provato a rivivere. Che importa ormai, intanto chi ha dato a dato.
Il lavoro doloroso di chi si è arabattato. Di chi ha traslocato più volte. Di chi ha parlato. Di chi si è preoccupato. Di chi è stato in tenda e fuori della tenda. Di chi ha messo su i campi-scuola, di chi ha fatto compagnia, di chi ha scritto, di chi ha narrato, di chi ha criticato e di chi invece trovava giusto e in buona fede.
L'umanità di chi ha cercato sin dopo il primo minuto. Di chi ha chiamato. Di chi si è disperato.
Di chi è tornato sul posto di lavoro nonostante lo shock. Ignorato nello sforzo spesso anche dai propri colleghi di lavoro che credevano di capire e non capivano. Perchè non c'erano stati. Lì, in quel punto preciso della vita e della morte.
Di chi ha fatto avanti e indietro.
Di chi ha vissuto attanagliato dal dubbio di cosa fare e come farlo.
Di chi ha avuto figli da traghettare.
L'umanità.

Sento dire di noi di tutto e di più. Da quanto siamo costati a quanto non ci siamo ribellati. Sconfitti sempre. Per prima sconfitti da chi tecnicamente è "con noi". Sconfitti. Imbelli. Incapaci. Vittime e colpevoli in quanto tali.

Io mi aggrappo a ciò che è stato. Convinta che la verità sia lì. Tutta in quei minuti in cui erompe il vero terremoto, arriva la vera morte, infuria la vera sete di vita. Convinta che eravamo veri lì e da lì dobbiamo trarre lucidità e forza.

Forse non per ottenere grandi cose, ma per avere un briciolo di sincerità personale. Un briciolo di umanità di nuovo. E per non diventare un "dato".

Non posso che applaudire al lavoro fatto fin qui. Ai tanti che si sono messi a disposizione. A chi ha lavorato. A chi ha sistemato casa perchè c'è riuscito. A chi ha preso decisioni nella propria vita e fatto del bene ai suoi. A chi ha dato una mano. A chi ha criticato e lavorato perchè le critiche divenissero azioni positive. A chi ha creduto in quel che faceva e l'ha fatto per bene.

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