giovedì 28 luglio 2011

Chiuso per ferie





 Sto partendo per le vacanze: e  penso “finalmente!”. Ho riacquistato una dimensione umana, normale, almeno per il desiderio di andare in ferie in un posto lontano, caldo, al mare. Lo scorso anno salutavo la rete  così. Quest’anno,  tra nostalgia e stanchezza, le parole da usare si intrecciano. Dovrei scrivere ancora che L’Aquila non c’è, che è una città fantasma, che i problemi si sommano e moltiplicano, che il bandolo della matassa non lo vede nessuno. Ma non ne ho la forza. Perché la sto mettendo da parte, per poter voltare pagina. Vorrei essere capace di osservare la situazione e razionalizzare qualcosa. Vorrei stipare le energie per arrivare ad avere un progetto per la città concreto: c’è una piattaforma WIKI  sulla quale ognuno, dopo attenta discussione, può scrivere qualcosa di concreto da fare per il futuro della città. Una scommessa che a molti piacerebbe vincere. 

Purtroppo a L’Aquila il post-sisma si sta mescolando con la campagna elettorale per le amministrative del prossimo anno, quindi non capisco più se ciò che le persone dicono o dichiarano, sia un tassello per la ricostruzione o piuttosto per una poltrona. Non so. Mi riesce difficile separare le lotte interne ai partiti, dai pettegolezzi e dall’impegno reale. Ed è anche per questo che non vedo l’ora di partire.
Anche per lasciare, sempre che ci riesca, tutto l’amaro che ingoio quotidianamente, quando, aprendo il giornale, trovo frasi trite e ritrite, accuse e bugie, altisonanti denunce e mai un’informazione reale su ciò che accade in città. E poi per allontanare le speculazioni mediatiche sulle tragedie o le analisi insulse sulla morte di giovani ragazzi.
Per riuscire a lasciare la mia casa, vuota, svuotata, pronta per la ristrutturazione; i ricordi della mia vita in un garage e i mobili in un capannone. 

Mi tuffo in una vacanza e desidero sia tale. Lo spero, tanto. Perché se penso ad un altro inverno solitario in una piccola C.A.S.A. con TV, mi sento mancare. Se penso alla mia cameretta piena zeppa di cose che non ho voluto lasciare nel garage, provo tenerezza e insieme sconcerto. Se mi concentro su ciò che succederà nei prossimi mesi alla mia città, sento il vuoto. Se passeggio con la mente nel centro storico, vedo solo macerie e poi una carriola arrugginita parcheggiata quaggiù, colma di denunce, avvisi di garanzia, e oblazioni da pagare per estinguere reati penali di divieto di sosta (a piedi) in piazzette dimenticate. Perché sono ingrata e anche delinquente.
E non è giusto. Allora voglio credere che si tratti di un esaurimento. Come se avessi tenuto aperto il rubinetto per troppo tempo. Mi capita al momento di essere iper-suscettibile, preoccupata, insonne. 

Di terremoto in terremoto.

E’ ora: parto.

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