mercoledì 6 luglio 2011

Com’era, dov’era




Ed io direi: dipende.
Pensiamo ad esempio a dov’era e com’era la città universitaria prima del terremoto. Gli studenti erano stranieri in città e la abitavano diffusamente, spesso con affitti al nero, senza neanche i normali servizi di una casa abitabile. Molti in centro città, altri nelle immediate periferie. I trasporti per le sedi universitarie deficitari: chi non ricorda le corse della mattina dei bus 77 e 79!! Per non parlare del periodo non scolastico, nel quale le corse divenivano una rarità. Pochi gli alloggi pubblici, pochi gli impianti sportivi, poche le sale studio. Nessuna occasione per gli studenti, nessuna opportunità per la città. Una convivenza forzata, spesso criticata, mai accettata. Ed erano più di diecimila i fuorisede! Solo locali che vendevano alcol e nei quali si tirava tardi. Ma almeno c’era il cinema.
Io non rivoglio quella città universitaria, ne voglio un’altra: né com’era, né dov’era! Perché il terremoto è un’occasione per cambiare, in meglio.
E invece vedo chiari segni di conservatorismo. Gli studenti universitari per la maggior parte viaggiano e quest’anno ancora gratuitamente da alcune cittadine ad alta densità. Ho sentito più di qualcuno dire che i soldi per i viaggi sono uno spreco. Ma dal prossimo anno non avranno più neanche quello e  va delineandosi uno scenario assurdo: affitti alle stelle (non solo per gli studenti), in posti lontani senza trasporto assicurato.
E la città tace, l’amministrazione comunale anche. Nulla si sta facendo per calmierare gli affitti, per scovare gli approfittatori, nulla. E poi c’è la storia degli alloggi pubblici: uno studentato, costruito in men che non si dica dalla Regione Lombardia, è gestito da un privato, violando così tutte le norme che garantiscono il diritto allo studio; un altro, ristrutturato immediatamente alla Caserma Campomizzi, ospita gli sfollati e svariate promesse si sono susseguite nel tempo riguardo la cessione all’ADSU. La prima risale a dicembre 2009 (se non sbaglio) quando il prefetto, nonché vice-commissario della Protezione Civile, Franco Gabrielli assicurò la disponibilità di quei circa 400 alloggi agli studenti, per la fine di febbraio 2010. Purtroppo però, l’emergenza abitativa non è mai finita rendicontando, a spese degli sfollati, la gestione fallimentare del governo, della Protezione Civile e della Struttura per la gestione dell’emergenza.
E così, oggi come allora, si continua a giocare sul presunto conflitto cittadini-studenti. Mi chiedo: dov’è il Comune? Quello che si vanta di avere ancora un’Università che funziona! Dove sono le scelte? Dov’è uno straccio di cronoprogramma di rientro? Se gli sfollati, giustamente, non vogliono trasferirsi alla Caserma della Guardia di Finanza, perché il Comune non la chiede per gli studenti? Dove sono le politiche di calmieramento degli affitti, il patto territoriale, la volontà di puntare sull’Università? Dove?
Più facile cavalcare il com’era e dov’era, restituendo agli studenti universitari la realtà di prima, favorendo il loro sfruttamento, invece che la loro energia. L’Aquila ha un’occasione unica: quella di essere la città universitaria con il numero più alto di alloggi pubblici che, gestiti adeguatamente, potrebbero rendere molto; potrebbe essere attrattiva per studenti fuori sede, per stranieri, professori , che portano conoscenza, innovazione, vivacità.
E mentre l’Università sta cercando di rinnovare l’accordo di programma, almeno per la voce esonero tasse, vedo striscioni che accusando il Rettore di essere insensibile al problema degli sfollati: un’accusa chiara all’Ateneo, un sintomo di non conoscenza dei fatti. Mi aspetto che il Comune prenda una posizione chiara, che non si arrocchi nuovamente in proteste che, per quanto giuste, non mettono sul tavolo le responsabilità di ognuno. Che si apra un colloquio vero, non ipocrita, sul futuro della città, anche quella universitaria che, se tra 10 anni sarà quella di prima, avrà fallito due volte: la prima nel non essere stata lungimirante, la seconda nel non aver saputo affrontare il problema in maniera chiara perdendo gli studenti.
Un’Università senza i suoi studenti non esiste.

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