lunedì 10 giugno 2013

Compagni di scuola




Eravamo 38 (oddio un’altra volta questo numero trentotto che mi perseguita!) il giorno 1 ottobre 1970, in un’ aula al secondo piano del Liceo Classico Alessandro Torlonia di Avezzano. Poi, in prima liceale, venimmo decimati e rimanemmo meno di una trentina. Potrei dire i nomi di tutti, molti dei quali erano stati compagni di scuola anche alle elementari, e qualcuna persino alle medie, dove eravamo divisi tra maschi e femmine.
Insomma il 1° ottobre 1970 avevo tredici anni e mezzo;  con quegli amici ci salutammo cinque anni dopo, alla maturità, ove ognuno prese la sua strada. Io venni qui a L’Aquila dove sto, ininterrottamente, da ben 38 anni, una vita insomma. E quegli anni del liceo sono rimasti cristallizzati in qualche posto della mia anima. Alcuni dei miei compagni di scuola li ho sentiti in seguito, non spesso, altri li ho rivisti, di tanto in tanto. La maggior parte però erano qui dentro di me, con i loro visi, la loro voce e tutte le parole che ci scambiammo in cinque anni. Le versioni di latino e greco confrontate in telefonate lunghissime, le pagine di letteratura studiate su qualche divano accanto a qualche camino, la matematica del nostro severissimo professore. E poi le prime cotte, gli amori, i pianti, lo sport, i tornei, le uscite serali, le bugie ai genitori. Tutto lì dentro la mia anima.
Uno di loro l’ho rivisto più spesso. Forse perché in una delle sue molteplici vite sentimentali era a L’Aquila, ma anche perché ci siamo chiamati, ogni volta che stavamo male. E ci siamo incontrati ovunque a bere, piangere e chiacchierare: Ovindoli, Firenze, Avezzano, L’Aquila. Oggi ci siamo salutati per l’ultima volta. 

Carmine non c’è più.


Attorno a lui si è materializzata la mia adolescenza: tutti i miei migliori amici di più di trent’anni fa.
«Giusi, hai dimenticato di salutare qualcuno» mi dice un uomo accanto a me durante il funerale.
«Scusa, ma non ti riconosco, fammiti osservare ancora un po’».
Mi sorride e riconosco una piega sul suo labbro inferiore, è Angelo! Con lui, Carmine ed altri eravamo inseparabili. Non ci siamo detti niente, solo accarezzati. Sono sicura che anche dentro di lui quel cristallo si è improvvisamente liquefatto. Per me così è stato, perché quando poi ho riconosciuto Francesco e Ornella quei cristalli dell’anima sono divenute lacrime. In quegli attimi la nostra memoria tentava di fare un 'upgrade' e collocare nella giusta posizione quei visi ormai adulti, con tutte le loro vite. Ma non ci era possibile senza Carmine.
Davide ha cantato e suonato, Giorgio non riusciva a parlare, Annarita era pallida, Giuseppe composto, Franco affranto, Massimo assente, Maurizio immobile. Ma eravamo tutti lì davanti alla salma di una parte della nostra adolescenza;  a pensare che in questi anni le nostre vite ci hanno diviso e solo la scomparsa di uno di noi, il più forte, ci ha riunito nuovamente. 

L’ho accompagnato ad Ovindoli, dove è nato. Ero sola in automobile e lungo il tragitto di ritorno a L’Aquila, superando tutti i centri abitati dell’altopiano delle Rocche, non facevo che tentare di rimettere in ordine i miei ricordi liquidi. Ogni curva, ogni prato, ogni fiore, ogni albero li ho percorsi, corsi, colti e goduti con loro: 
i miei compagni di scuola.

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