giovedì 4 luglio 2013

La "galleria di alberi"




A proposito del probabile taglio degli alberi all'imbocco della via per la Stazione Ferroviaria (Viale XXV aprile) a L'Aquila: un piccolo racconto della mia infanzia.

Via XXV aprile, AQ. La freccia indica gli alberi che il Comune vuole tagliare perché hanno il "difetto" di trovarsi sulla traiettoria di una nuova rotatoria
 


Il primo ricordo di Giusi riguardo la città nella quale avrebbe poi vissuto, risale ai primi anni sessanta. Suo padre Corrado, per lavoro, vi si recava spesso e la portava con sé. Lei preferiva questo viaggio a quello verso Roma, perché più breve, anche se ugualmente tortuoso. Non c’erano le autostrade e qualsiasi destinazione dall’Abruzzo interno significava svalicare da qualche parte: Forca Caruso per Pescara, Colle di Monte Bove per Roma, Altopiano delle Rocche per L’Aquila.
Giusi non amava andare a Roma. Roma era caotica e spesso si facevano code interminabili. «Papà, io scendo e continuo a piedi» diceva  esasperata.
La strada per Pescara, invece, le piaceva. Perché conduceva al mare. In vacanza si andava a Pineto, per un mese,  e il viaggio lo si desiderava tutto l’anno.

La via per L’Aquila era lunga e Giusi la conosceva a memoria. Si poteva passare per Celano, o anche per Forme e Santa Iona. «Però Giusi, quando andrai in bicicletta a L’Aquila, dovrai passare per Celano. Sembra più ripida, ma su quest’altra via si sale e si scende».
Appena dopo Santa Iona c’era l’albero di mele limoncelle che, dentro un cesto, lo zio Amelio portava per il cenone di Natale. Poi si arrivava a San Potito, dove lo zio delle mele era nato. Dopo una serie di tornanti, giungeva Ovindoli, già allora meta sciistica. Il lunghissimo altopiano delle Rocche era sempre meraviglioso, ma era solo in maggio che i narcisi lo coloravano d’azzurro. «Questo è il cielo dell’Abruzzo» diceva il papà. Scendendo da Rovere c’era l’immancabile curva del nonno Giovanni: con uno dei primi camioncini vi si era catapultato anni addietro.

Negli anni sessanta la strada da Avezzano a L’Aquila passava per Rocca di Mezzo e poi Rocca di Cambio, un comune a quasi 1500 metri di altitudine. Quando la variante che evitava di salire fino lì, deviando per Terranera, fu realizzata, ci fu una festa. Il viaggio però restava lungo e, in discesa, Giusi e gli altri si addormentavano. 
Riaprivano puntualmente gli occhi al passaggio al livello che immetteva sulla S.S.17 e che sale a L’Aquila. Si transitava vicino alla Basilica di Collemaggio che a Giusi, annebbiata dal sonno, sembrava un castello. Alla sua destra un muro altissimo dove c’era sempre qualcuno che faceva capolino. Se ne scorgevano soli i volti. Sorridevano sempre e li salutavano «Siamo a L’Aquila, siamo arrivati!»: erano le persone ricoverate nel manicomio ospitato in quell’area vastissima, ma Giusi non sapeva cosa fosse un manicomio. 

Sapeva solo che mancava poco: la Villa, poi via XX Settembre, poi a sinistra e, finalmente, la galleria di alberi. Sì, così la chiamava e quello era il ricordo più bello a distanza di anni: il viale della Stazione con le chiome degli alberi, via XXV aprile.
Poi si arrivava al Consorzio agricolo provinciale dove il papà parlava di lavoro e i bambini giocavano a nascondino tra i sacchi di sementi in mezzo ad odori indimenticabili di non si sa cosa: un misto di sementi, fertilizzanti, oli, erba secca.

E poi di nuovo la galleria di alberi per il viaggio di ritorno.


P.S. ma curare il verde a ridosso delle mura che si trovano lungo la strada?

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