Ieri a L’Aquila è stata una giornata importante. Alcuni
corsi di laurea di area ingegneristica sono rientrati nella loro sede storica,
Roio, a quasi 1000 metri s.l.m., appena
al di sopra della frazione Poggio di
Roio.
La sede della (ex) Facoltà di Ingegneria, fu terribilmente danneggiata
dal sisma, sembrò quasi un paradosso, ma oggi sappiamo delle inadempienze che
furono commesse in fase di costruzione. Al termine della camera di consiglio,
lo scorso luglio, il giudice dell' Aquila Marco Billi ha condannato alla pena
di 4 anni di reclusione, per disastro colposo, il direttore dei lavori e il
direttore di cantiere, con contemporanea condanna a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. E
il pensiero torna, nuovamente, a quel 6 aprile, al mancato allarme, a tutte le
colpevolezze dirette e indirette.
Quando si sale su per quella salita che dall’Aquila porta
alla sede Universitaria, non si può non notare il paesino, Poggio di Roio, distrutto, e il progetto C.A.S.E. al di sotto delle
rovine; salta all’occhio il container
che a 4 anni e mezzo dal sisma accoglie ancora l’edicola, i moduli abitativi
provvisori e svariati puntellamenti selvaggi. Non è un bel vedere, eppure lì
era ed è tornata l’Università, tra mille difficoltà. Molte delle quali vissute dagli
studenti che hanno iniziato le lezioni dei corsi del primo semestre dell’anno
accademico 2013-14.
Ma le impressioni degli studenti che hanno iniziato il loro
corso di studi in quel “campus” ed oggi sono rientrati, vanno al di là delle
difficoltà.
Matteo, non senza commozione, confessa che ritrovarsi in mezzo a lavori ancora da terminare o senza un bar non è stato entusiasmante, ma sedersi in aula e avere al suo fianco il panorama della valle dell’Aterno è stato meraviglioso. Così Riccardo che confessa: «Ho iniziato qui i miei studi e qui li terminerò, guardando dalla finestra dell’aula la mia L’Aquila». E ancora Lorenzo che dice: «Sono contento per me e per L’Aquila ». E Carlo che con amarezza si trova a constatare che i disagi dovuti ai cantieri, alla mancanza del bar, delle sedie, delle spine elettriche in aula e di un posto dove studiare, vorrebbe provarli subito nel rientrare a casa, quella che in centro a L’Aquila non sa quando rivedrà. Altri, in sintesi, dicono di essersi resi conto che nulla sarà come prima e che non basta stringere i denti, « bisogna continuare a lottare perché tutto sia meglio di prima». Poi c’è Stefano, amareggiato, perché sente che tutto ormai, da quattro anni, è emergenza « Di emergenza in emergenza».
Matteo, non senza commozione, confessa che ritrovarsi in mezzo a lavori ancora da terminare o senza un bar non è stato entusiasmante, ma sedersi in aula e avere al suo fianco il panorama della valle dell’Aterno è stato meraviglioso. Così Riccardo che confessa: «Ho iniziato qui i miei studi e qui li terminerò, guardando dalla finestra dell’aula la mia L’Aquila». E ancora Lorenzo che dice: «Sono contento per me e per L’Aquila ». E Carlo che con amarezza si trova a constatare che i disagi dovuti ai cantieri, alla mancanza del bar, delle sedie, delle spine elettriche in aula e di un posto dove studiare, vorrebbe provarli subito nel rientrare a casa, quella che in centro a L’Aquila non sa quando rivedrà. Altri, in sintesi, dicono di essersi resi conto che nulla sarà come prima e che non basta stringere i denti, « bisogna continuare a lottare perché tutto sia meglio di prima». Poi c’è Stefano, amareggiato, perché sente che tutto ormai, da quattro anni, è emergenza « Di emergenza in emergenza».
Un piccolo
piccolissimo passo verso la normalità, un grande passo di consapevolezza:
ancora tanti anni ci separano da una città.
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