So’ sajita a casa mè (Sono salita a casa mia)
“Me parea che passu passu se sajesse a j’infinitu” (mi
sembrava che passo dopo passo si salisse verso l’infinito), e lo dico davvero,
anche se sono solo cinque piani.
La prima cosa che ho pensato vedendola è stato “Il terremoto
qui non c’è più”.
Forse perché per tanto tempo l’ho vista deperire, con i
segni di quella notte incisi ovunque, poi l’ho vista rotta e buia (a causa
delle impalcature); forse perché per troppo tempo ho sentito l’odore dell’abbandono
e della paura.
Oggi era luminosa, non ancora terminata, ma la prima foto
che ho scattato è questa: il panorama sull’Aquila e le sue (poche) gru da una delle mie finestre.
Poi ho cominciato ad immaginarla col parquet per terra, le
finestre, le porte che ho voluto nuove di zecca, e ancora ad odorare i profumi
delle mie piante o della cucina. Ho finto che fosse un giorno qualsiasi e che
gli elettricisti fossero miei amici. Ho così ricordato la mia dispensa, i miei
bicchieri e tutte le mie foto. Sembrava fossero lì.
Il terremoto non c’era più. Per un attimo è sparito.
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