venerdì 31 maggio 2013

Senza città





Disegno dal libro: Le trecentonovantotto meravigliose maestre de L’Aquila.
Progetto sperimentale per contrastare gli effetti del truma tramite la scuola


Non sono poche le persone che mi chiedono come si vive a L’Aquila. Quando rispondo «Prova ad immaginare come si vive senza città», la reazione, il più delle volte, è un commiserevole «Ah!»; non si riesce ad immaginare. Per questo oggi vi descrivo una mia giornata tipo. Preciso che io, per fortuna, lavoro e mi piace molto quello che faccio.

La mattina, dunque, dopo colazione salgo in macchina e in 6 chilometri circa sono al lavoro. Di solito la pausa pranzo la faccio qui, un po’ per abitudine un po’ perché sarei sola se tornassi a casa. Tutta la famiglia, infatti, si muove in automobile per raggiungere i vari luoghi di lavoro o studio, e non è molto conveniente, in tutti i sensi, sorbettarsi tanti chilometri al giorno.
Se, malauguratamente, ho qualcosa da sbrigare, tipo andare in Comune o in banca o alle poste, se ne va tutta la mattinata, tra traffico, parcheggi e file e ricordo che non abito in una metropoli.

Ad ogni modo cerco di lavorare il più possibile. Perché, direte voi? Ecco, facciamo il caso che abbia voglia di comprare qualcosa, niente di che, un maglione, per esempio.  Si sale in macchina e si va in un negozio, magari il più vicino. Non si trova ciò che si cerca, allora si risale in macchina e si va in un altro negozio, che può anche distare più di qualche chilometro e magari non ha neanche le vetrine. Allora entri, guardi la merce e, se non ti accontenti,  tenti di ricordare dove sta quel negozio che era in centro e che ti piaceva tanto. Percorri altri chilometri, trovi traffico, ti innervosisci e torni a casa. E naturalmente è così per tutto: sia che si  voglia comprare abbigliamento, che cose di casa, che roba di elettronica, dolci, confetti, giocattoli e così via.

Qualche volta, quando decido di andare al cinema,  cerco di arrivare puntualissima, mai neanche 5 minuti prima. Perché, direte voi? Perché altrimenti devo aspettare fuori, nel nulla. O meglio lì intorno c’è qualche bar, qualche negozio, ma non c’è da passeggiare. Per evitare di fumare sigarette nervose, di solito entro in farmacia e mi guardo tutte le cremine possibili e immaginabili, poi alla fine compro sempre la stessa: a casa ne ho una decina di confezioni. Quindi il cinema, se arrivo in anticipo, è troppo costoso. 

Altre volte vado in centro, devo dire sempre più di rado. Mi capita, infatti, che dopo aver parcheggiato l’automobile (e naturalmente percorsi buoni 10 chilometri),  armata di tutte le buone intenzioni, sento una strana sensazione: quella che sto per essere ingoiata dal nulla. Anzi no, non dal nulla, ma da qualcosa che non riesco tanto bene a definire, ma sa tanto di abbandono, di inettitudine, di marcio, di legno bagnato e ferro arrugginito, di pietre screpolate e erba rigogliosa, di voci strozzate e silenzi immortali. Ad ogni modo proseguo, mi fermo in tutti i bar (non sono alcolista, eh!), cioè quei quattro o cinque esercizi aperti, per ringraziarli di esserci.  Mi immergo nei vicoli, talvolta scatto fotografie, tento di ricordare come era prima e, dopo circa mezz’ora, sento forte un’altra sensazione,  ben definita stavolta: quella di fuggire. E una volta l’ho fatto veramente: era sera, non c’era nessuno in giro ed ad un tratto ha cominciato a piovere. Ero dalle parti di via Garibaldi, ho iniziato a correre e non mi fermavo più.  Passando davanti alla solita camionetta dei soldati a guardia del nulla, ho visto che mi guardavano strano e, allora, ho gridato ”L’Aquila è nostra” senza fermarmi. Arrivata all’automobile, avevo voglia di una birra. Allora ho percorso una decina di chilometri e sono arrivata a Pianola: mi sembrava che tutta la gente che era lì per una birra fosse reduce dalla mia stessa corsa. E’ stato bello, una specie di corso di sopravvivenza vero.

Cercando di incontrare gente ho provato di tutto. Qualche decina di persone si possono incontrare sempre attorno al Castello Cinquecentesco, ma la maggior parte sta nei centri commerciali per i quali ho una avversione genetica. Dentro i centri commerciali si passeggia, come se si fosse all’aperto, che sia caldo o freddo, che piova, nevichi o ci sia il sole, la gente va lì. E non mi va neanche di criticare, in fondo questi centri commerciali sono gli unici centri di aggregazione in città. Spersonalizzanti, certamente. Ma tant’è.

In realtà la mia “botta di vita” socializzante la faccio nei supermercati ed ho trovato che tante persone, come me, si aggirano per ore con carrelli vuoti, in cerca di parole da condividere. L’altro giorno ho passato una mezz’oretta davanti ai surgelati con un’amica che non vedevo da tanto tempo. E’ stato bello anche questo. Alla fine ho acquistato una vaschetta di gelato.
Due giorni a settimana, in serata, mi incontro con amici di associazioni culturali o politiche. Anche a questi appuntamenti cerco di arrivare puntuale. La settimana scorsa ero leggermente in anticipo per l’appuntamento a Valle Pretara.  Dopo un momento di smarrimento nel nulla che mi circondava, e dopo aver acceso inutilmente la radio cercando compagnia nelle parole di Radio2, ho aperto il portabagagli dove sapevo di avere una scorta di libri: ne ho preso uno ed ho cominciato a leggerlo, in macchina. Dopo circa mezz’ora qualcuno mi ha bussato al finestrino: un sobbalzo! Fortunatamente era Mauro, uno dei miei amici.

Le attività culturali e ludiche in questa non città sono tante. Anche queste sono confinate in luoghi non propriamente accoglienti, insomma luoghi anonimi, che devi raggiungere in automobile e dove non ci sono strade per passeggiare, vetrine da guardare, gente da incontrare se non quella che appositamente si trova lì. Quindi anche in questo caso meglio arrivare puntuali. E tenere sempre il pieno di benzina.
Ci sono, per dirla tutta e dare una speranza, alcuni giovani attivissimi proprio in centro città, ai margini della città per essere precisi, però, ecco, non ho più l’età. 

Quasi mai passeggio “sotto-casa”: abito in un nuovo quartiere, quelli che chiamiamo “Berlusconia”.  Sarebbero quelle soluzioni abitative che ci invidiano tanto! Condomini immersi nel nulla, senza alcun servizio, centri di aggregazione, bar, edicole, nulla. Bisogna spostarsi di qualche chilometro, rigorosamente in automobile, perché in questa non città i pedoni sono un optional non previsto. 

Il sabato e la domenica sono giornate difficili. Per fortuna c’è la montagna, almeno per me.
Perché è vero che ci si riversa in centro, ma una passeggiata tra macerie e puntellamenti, dopo 4 anni, mette a dura prova chiunque e non si riesce a far finta di nulla. Insomma non è per niente salutare andare a visitare il centro città che sta marcendo, né tanto meno i borghi attorno a L’Aquila, dove l’abbandono prende sembianze ancora più atroci, perché il mescolamento del nuovo e del vecchio si trova in un unico colpo d’occhio e fa male, ve lo assicuro.

Così io vivo senza città.
Bisognerebbe aprire un sito web che ricalchi la realtà: www.senzalaquila.com

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